Rientra fra gli atti persecutori previsti e puniti dall’art 612 bis del codice penale la condotta di colui “stalkera” via whatsapp la ex
*Sent. Cass. n.7821-2023
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza di cui sopra confermando la sentenza di condanna alla reclusione, come quantificata in sede di appello, per lo stalker che ha inviato ripetutamente messaggi Whatsapp pieni di insulti alla ex.
In sede di appello veniva confermata la responsabilità dell’imputato per il reato di atti persecutori aggravato dall’uso dei mezzi informatici e per il reato di diffamazione, in danno della ex.
Per tali reati il responsabile veniva condannato alla pena di 1 anno e 6 mesi di carcere e al pagamento delle spese del processo.
Di qui il ricorso in Cassazione, il responsabile del reato ascrittogli nell’impugnare la decisione contesta la mancata concessione della sospensione condizionale della pena e la mancata acquisizione di copia dei dati comprovanti la conversazione intrattenuta su Whatsapp, di cui sono state prodotte due trascrizioni in formato testo e quindi modificabili e comunque difformi nel contenuto.
Il ricorso però viene ritenuto inammissibile dalla Cassazione. In relazione al secondo motivo di doglianza precisa la non necessità di copia forense dei dati della conversazione indicata dall’imputato su whatsapp perché la stessa non ha avuto così tanta rilevanza ai fini del decidere.
Le prove da cui ha suprema corte ha tratto il proprio convincimento nel confermare la sentenza di condanna si sono basate sulle dichiarazioni testimoniali degli amici, la condotta della vittima e le stesse ammissioni dell’imputato oltre ovviamente la moltitudine di messaggi inviati.
Da un punto di vista processuale quindi la questione come sopra rappresentata non ha destato particolari elementi di complessità o novità tant’è la Corte di Cassazione confermava la sentenza di condanna, rendendola così definitiva ciò che invece desta interesse è la circostanza che la Corte oltre alla necessaria valutazione dei messaggi inviati alla ex per contenuto e quantità ha valutato anche le testimonianze di amici e conoscenti, la condotta della vittima e non ultime le implicite ammissioni dell’indagato, ora condannato.
Il reato di stalking(dall’inglese to stalk, letteralmente “fare la posta”) è entrato a far parte dell’ordinamento penale italiano con il d.l. n. 11/2009 (convertito dalla l. n. 38/2009) che ha introdotto nel nostro codice penale l’art. 612-bis c.p., il reato di “atti persecutori“, il quale punisce chiunque “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita“.
La disposizione normativa in commento è inserita nel capo III del titolo XII del Codice penale, nella sezione dei delitti contro la libertà morale, con tale nuova fattispecie di reato, il legislatore, prendendo atto delle richieste istanze provenienti da più parti, ha cercato di dare una risposta appropriata alle condotte che fino al 2009 venivano inquadrate in altri meno gravi delitti (di minaccia, violenza privata, ecc.) fattispecie che si erano dimostrate spesso inidonee a garantire una tutela adeguata alle vittime a fronte di condotte illecite caratterizzate da maggiore gravità, sia per la reiterazione delle stesse, sia per i loro effetti negativi sulla sfera privata e familiare delle persone offese.
Il testo dell’art 612 Bis c.p. recita
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 104/1992, ovvero con armi o da persona travisata.